Cerca nel blog

venerdì 31 agosto 2012

Ballistic - Ballistic



Etichetta: Metal Blade
Anno: 2003
Durata: 47:38 min.
Genere: Speed/Power/Thrash Metal

Non c’è proprio da stupirsi per niente se questo disco, come peraltro quello dei Coram Lethe della prima recensione postata sul blog, ha preso il massimo dei voti (o quasi, in alcuni casi) praticamente su ogni rivista o webzine, di varie parti del mondo, dove sia stato recensito. Anche se, purtroppo, pare che tra gli appassionati non sia molto conosciuto, anzi, almeno stando alla mia esperienza e cioè nell’ambito del nostro Paese, e nonostante sia uscito per Metal Blade, quindi reperibile abbastanza facilmente ovunque. A dirla tutta sembra che sia “sfuggito” per qualche motivo anche a varie webzine nostrane, in certi casi pure “grosse”.

Innanzitutto c’è da dire che la band che ha inciso questo disco non è certo formata da debuttanti, a partire dal chitarrista/cantante e leader Tom Gattis, attivo nella scena metal americana fin da adolescente o poco più (fine anni ’70), con monikers come Deuce e Tension (in questi ultimi c’era anche il bassista ancora oggi al suo fianco), e più recentemente con i Wardog. Il batterista Rikard Stjernquist è invece in forza da anni anche ai Jag Panzer.
Le biografie, foto d’epoca e notizie varie, oltre al demo/promo di 3 pezzi precedente a questo disco e liberamente scaricabile, le potete trovare nel suo sito segnalato a fondo recensione (*).

Il disco è una vera bomba che mette insieme quasi costantemente i tre stili sopra indicati, intendendo ovviamente, visto anche quanto detto sul personaggio, sia con il termine “speed” che con “power” i relativi approcci americani a questo genere, quindi mediamente molto più “spigolosi”, ruvidi e d’impatto rispetto a tantissima roba europea che, soprattutto negli ultimi 10 anni, è stata etichettata e descritta usando appunto quelle parole (del tutto legittimo in ogni caso, sono tali anche quelle e l’Europa non ha certo nulla da invidiare agli USA come tradizione power/speed, ma restano due approcci quasi sempre nettamente distinti e quindi chiarivo, visto che molti apprezzano il primo ma non il secondo, o viceversa). Altrettanto ovviamente qui non si trova traccia di nessun tipo di tastiera o arrangiamento sinfonico, semmai vari riff piuttosto thrash.
Inoltre il tutto è suonato con una maestria davvero notevole da ogni componente, mai scontato o prevedibile (pur essendo in ambito molto classico in un certo senso), e capace di integrare sempre al meglio nei pezzi virtuosismi notevoli che non sono certo la norma in questo campo.
Gattis canta con un impeto e un coinvolgimento raro da sentire in giro, spesso forse andando addirittura un filo oltre quelli che sarebbero i suoi limiti naturali di fiato o estensione (ma era quasi inevitabile, visto il ritmo mediamente altissimo e le metriche di conseguenza molto serrate, spesso affrontate probabilmente in “apnea” dall’inizio alla fine di ogni frase); eppure anche questo alla fine non appare un difetto, anzi, fornisce un fascino e una spontaneità ancor maggiore ai brani, o almeno questa è l’impressione che ho avuto io fin dai primissimi ascolti. Anche perché, a scanso di equivoci, non si parla assolutamente di stecche o stonature vere e proprie, per nulla, solo di andare appunto “al limite” o anche un filo oltre, ma essendo ancora in grado di gestire perfettamente la situazione senza che scappi di mano, come probabilmente accadrebbe a molti sprovvisti della sua esperienza e talento.

Un cenno anche sui suoni e sulla produzione generale, per la quale si può fare un discorso analogo a quanto detto sopra per l’esecuzione e lo stile, ovvero moderno e classico allo stesso tempo. Moderno perché comunque si sente al volo che l’impatto, la qualità, il volume di uscita ecc. sono associabili senza dubbio alcuno ad un disco degli anni duemila, ma classico perché il tutto non è “pompato” all’eccesso, le chitarre hanno la “grana” della distorsione non troppo fine, compressa e pulitina come in molte uscite di power/heavy/speed e dintorni (e non solo) post-metà anni ’90 circa, la batteria non suona finta e in generale non c’è la sensazione di un blocco unico dove i singoli strumenti non sono così distinguibili e tutto è quasi “plasticoso”. Qui, nonostante l’impatto notevole e il coefficiente di metallicità alle stelle come di rado si sente, ogni strumento “respira” alla grande ed è un piacere sentire sempre bene anche il basso (ottimi tra l’altro anche i suoi occasionali mini-assoli all’interno dei brani in stacchi vari), che in molte produzioni moderne pare scomparire letteralmente sotto il resto, che siano tastiere, chitarre o batterie iper-triggerate (anche se c'è da dire che in certi approcci e stili nettamente diversi da questo la cosa ha un senso diverso e non è necessariamente un difetto, solo che spesso non si sentono solo in quelli le suddette produzioni).

L’album è molto omogeneo, quindi abbastanza inutile stare a fare un track-by-track completo; mi limito a segnalare giusto la partenza a razzo con “Collision Course”, dove si mette subito in mostra anche l’ottimo chitarrista solista Peter Petev, “Watch Me Do It”, che, dopo un attacco con riff e scale velocissime sulla falsariga delle precedenti, modera la velocità su un tempo medio e riffoni più scanditi ad accompagnare la solita voce incisiva e fierissima, salvo poi “incasinarsi” di nuovo con vari stacchi, accelerazioni ecc., o le più melodiche (quasi maideniane per vari aspetti) e dotate dei ritornelli forse più immediati e riusciti di tutto il lavoro, a titolo “Call Me Evil” e “Silent Killer”, poste in rapida sequenza. E citazione d’obbligo anche per “The Dissection/Into The Sever Chamber”, che ospita come vocalist Dave Brokie dei folli/demenziali Gwar, e per la stupenda (una delle migliori secondo me) “Undefeated”, dotata della solita velocissima ritmica nelle prime strofe, ma poi capace di stacchi, variazioni, riff, fraseggi e assoli davvero perfetti e in certi casi anche abbastanza imprevedibili, con su tutto l’ennesima interpretazione vocale ottima e trascinante del leader.

Una considerazione viene spontanea: negli ultimi anni molte band giovani hanno riscoperto, anche in USA, il “vero metal”, dopo il grunge che monopolizzò la prima metà dei ’90 e l’indigestione del cosiddetto “nu-metal” (o “new” che dir si voglia) successivamente. Parlo di molte di quelle band etichettate erroneamente “metalcore” e che di "(hard)core" non hanno quasi mai nulla, essendo totalmente devote all’approccio death svedese più o meno melodico che andava al massimo oltre 10 anni fa, oltre che al vecchio thrash della Bay-area e a mostri sacri del metal classico di sempre come i Maiden (per i fraseggi melodici e gli assoli, che del resto avevano già influenzato molto proprio quella prima ondata svedese melo-death); ma, ancor più in particolare, di quelle alla 3 Inches Of Blood, per citare una delle più conosciute forse, che, a differenza di moltissime delle suddette, sono ancor più classiche e incompromissorie, non sporcando/intervallando, ad esempio, l’assalto metal con interventi in voce pulitissima, ultra-melodica e che tenta di essere “emozionale” al massimo, risultando invece del tutto fuori posto, quando non addirittura un po’ stonata.
Ma anche quando, e arrivo al dunque, alcune di queste band sono bravine, abbastanza convincenti, trasudanti vera passione per il grande metal passato che citano ad ogni riff o linea vocale, se la cavano alla grande con gli strumenti e via dicendo, beh, la differenza con la coesione, il mestiere, la spontaneità di ogni passaggio scritto ed eseguito, la caratterizzazione dei singoli pezzi di un disco, l’efficacia delle linee vocali e dei ritornelli e chi più ne ha più ne metta, di una band di musicisti navigati, che sono stati magari anche parte di quella stessa storia (anche se in band minori, come in questo caso) e hanno sempre avuto una certa visione del metal indipendentemente da qualsiasi moda o altro, si sente in maniera nettissima e innegabile, non ci sono storie: il resto al confronto sa tutto di posticcio, di “puzzle” di riff/assoli/stacchi e linee melodiche messe insieme alla meno peggio e interscambiabili tra i brani senza che il risultato di ognuno di essi cambi in maniera rilevante.

Tornado al gruppo/disco in oggetto, nonostante quello che ho detto sopra, questo lavoro potrebbe risultare appetibile senza troppi problemi anche per quelli che di solito apprezzano prevalentemente il power/speed o il metal europeo in genere (come d’altronde io stesso, riguardo i generi più classici, compreso il tipo ultra-sinfonico, maestri Rhapsody su tutti), almeno se si parla di quello sì melodico ma allo stesso tempo anche piuttosto aggressivo e d'impatto, dotato della giusta ruvidezza e basato sul muro di riff di chitarra in quantità (Helloween, Blind Guardian pre-"Nightfall...", Scanner, Gamma Ray...). Perché la melodia non manca di certo qui, e non solo dal punto di vista vocale, quello più immediato, ma anche per molti aspetti strumentali. Insomma è uno di quei dischi che pur prodotti da band americane, a me suonano sempre anche molto “europei” per molti aspetti; un po’ come, per fare un nome storico, i Metal Church, debutto in particolare, con quel suo tono e fierezza epica nelle linee vocali di cui ti innamori al primissimo ascolto, i riff molto incisivi ma anch'essi orecchiabili e concatenati insieme in modo molto lineare e "assecondante" fin da subito, o anche i Vicious Rumors dei primi dischi, per rimanere tra i nomi storici del power metal made in USA.

Quindi il consiglio finale è di tener conto anche di quanto appena detto e dare almeno un ascolto, se vi capita, a questo gruppo, perché ha prodotto uno dei dischi (purtroppo già vecchio di quasi 4 anni e non ci sono al momento notizie di un successore) di puro metal più esaltanti, coinvolgenti e intensi degli ultimi 10 anni almeno, senza esagerare. E non concedo il massimo solo per la presenza di un paio di brani che reputo leggermente sotto al livello degli altri, ma si tratta sempre di pezzi più che buoni, non certo di roba scarsa o anche solo nella media.

Segnalo per eventuali collezionisti che l’ordine dei pezzi nell’edizione americana è quasi completamente diverso e presenta anche una bonus track alla fine.

Voto: 9.5/10 (oggi, dopo numerosi ascolti nel tempo, probabilmente ritoccherei leggermente portando a 9, ma la sostanza non cambia, discone stupendo che "spettina" letteralmente)

Myspace

(originariamente scritta per e pubblicata sulla webzine "Shapeless Zine" nel 2007)

(*) Il sito non esiste più a quanto pare, ma in compenso un paio d'anni fa hanno fatto il myspace suddetto e ci sono 10 degli 11 brani del disco.

Alessio Casciani

Nessun commento:

Posta un commento

Non verranno pubblicati commenti fuori tema rispetto al relativo post o, a tutto concedere, che non siano comunque inerenti considerazioni più o meno strettamente musicali.